L'umanità ha sete di Giubileo

Analizzando l'emergenza coronavirus che colpisce il Kenya, il missionario comboniano traccia un possibile orizzonte per uscire dal tunnel arricchiti dello spessore umano.kenya coronavirus

Sono passate tre settimane dal primo caso di corona qui in Kenya. Ad oggi oltre 120 positivi e 4 decessi. Si fanno pochi tamponi, o quanto meno analisi, per capire chi è infetto. Il governo ha subito preso delle misure di contenimento dell’epidemia, che progressivamente si sono andate delineando, diventando sempre più restrittive. Ora si teme il lock-down, la chiusura totale e questo crea ansia e paura per scenari di esclusione ed emarginazione di chi pur obbligato a stare tra le mura sta ancora aspettando una casa!
Negli slum come Korogocho e Kibera la vita sembra svolgersi con lo stesso ritmo di prima. Le misure precauzionali imposte dal Governo sono rispettate nella misura del possibile. Le celebrazioni religiose sono sospese. Si è assistito ad una certa reticenza della Chiesa Cattolica a sospendere le messe tentando di far rispettare le misure del distanziamento sociale in altro modo, ma poi si è deciso il blocco totale.
In questo momento le misure di contenimento sono state incrementate proclamando il coprifuoco dalle 19 alle 5 del mattino seguente. La grande preoccupazione è quella destata dalle infrastrutture ospedaliere che non sono assolutamente capaci di dare cure e attenzione ai possibili infetti se questi dovessero raggiungere i numeri dell’Italia o di altri paesi europei.

Due binari

Il Kenya è un paese a due velocità, e questo comporta che ci siano reazioni diverse alla pandemia. I ricchi, o meglio quelli che hanno da vivere perché dispongono di scorte alimentari ed altro, son preoccupati della possibilità di essere contaminati. I poveri, la stragrande maggioranza, sono preoccupati dalle conseguenze che la pandemia può provocare a livello di tenore di vita e di mantenimento di equilibri economici e familiari già deboli.
Non si avverte panico. Mi è capitato di leggere articoli che facevano trasparire una qualche tendenza all’incolpare gli europei di aver portato il virus nel paese. Ma sinceramente non ho avuto modo di riscontrare questo nella realtà in cui vivo. Personalmente non mi sono sentito discriminato. E questo è anche quanto ho potuto constatare parlando con altri cittadini europei qui a Nairobi.

Un tempo per fermarci: il Giubileo

Si tratta di momenti difficili, che richiedono grande sforzo, sacrificio e soprattutto lucidità. Questo invito a stare a casa, a fermarsi nelle attività mi risuona come un invito al Giubileo, tempo di riposo e di respiro, di cui parla il passaggio del Levitico [25,8-13]. Il giubileo che stiamo facendo è certamente forzato, causato dalla situazione di emergenza. E’ il Giubileo che ormai non siamo più abituati a fare perché nel mondo h24 chi si ferma è perduto! Il motore del mondo e del cuore umano è invitato a stare sempre in movimento e ad operare per non essere tagliato fuori, per non arrivare alla gara della vita quotidiana e sentirsi dire che siamo stati troppo lenti.
Quello che ci serve è un Giubileo. Certamente non è il momento di grandi riflessioni né di legare altri fardelli sulle nostre spalle; siamo presi dall’emergenza. Se questo fermarsi forzato non ci insegnerà a vivere il giubileo della vita, dello stare con se stessi e del restituire dignità alla vita…del camminare a piedi per non trascurare il vicino e il bisognoso, del vivere i nostri giorni in originalità e semplicità invece di farlo in sequenza automatica, come giorni fotocopia, che producono ricchezza falsa, promettente ma effimera.
La ricchezza che ci serve e’ la vera amicizia con i nostri fratelli e sorelle, con il creato e le vita del mondo che ci accoglie e ci dona quello spazio vitale di cui non possiamo fare a meno. Il giubileo della vita deve portarci alla saggezza dello stare al mondo, di una ecosofia che ci fa scoprire fragili e bisognosi gli uni degli altri e per questo di aver cura delle relazioni interpersonali e con il creato.
Il fermarsi è cosa buona, il meditare e far diventare questo fermarsi un atto responsabile generoso verso noi stessi, i nostri vicini e la natura è cosa ancora più buona. La fragilità e la limitatezza del nostro vivere non è affatto un difetto di fabbrica, ne tanto meno una condanna. Ma è il nostro essere creature di Dio.

La sfida del rialzarci

Due realtà stanno diventato un tarlo nella nostra vita. Vivendo e lavorando in queste latitudini africane da 16 anni  le sento molto evidenti.

  1. Il seguire le mode pedissequamente come se fossimo dei burattini. Certamente non mancano le voci fuori dal coro, ma si sa bene le difficoltà che ad essi sono riservate.
  2. L’atteggiamento di fronte ai cambiamenti epocali che la storia ha vissuto e sta vivendo. La maggior parte di essi sono avvenuti solo perché un grande e terrificante evento ha sconvolto la storia. L’antifona che si sente da diversi anni a questa parte è: “dopo questo evento niente sarà come prima” e poi dopo qualche tempo tutto ritorna come prima.

Il momento triste che buona parte dell’umanità sta vivendo passerà, sarà cosa passata, che i posteri leggeranno e studieranno nei libri di storia. So per certo che torneremo ad abbracciarci, a vivere la nostra vita sociale con meno distanze e meno paure. La sfida grande, che rimane come nostra responsabilità, è fare tesoro di quanto stiamo vivendo per riabbracciarci, e riabbracciare la terra ed il creato con uno sguardo nuovo con delle intenzioni diverse, con degli obiettivi meno miopi e meno egoistici di quelli attuali.
Ora è il momento di mettere da parte la buona semente per poter raccogliere frutti buoni che saziano tutte le dimensioni del vivere umano e il vivere del creato. Mai come in questo momento l’umanità si sente unita e sulla stessa barca. La grande e bella sfida è poter imparare a sentirci umanità anche per il bello-buono-vero che ci rende famiglia e ci spinge a prenderci cura gli uni degli altri e del creato di cui siamo parte integrante. Creato che grida dentro noi la sua sete di Giubileo.
da Nigrizia



Data pubblicazione: 07/04/2020

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